
L’esercito delle Due Sicilie nella sua storia si era fatto ammirare per il valore sul campo come ben dimostrano la battaglia di Velletri, quella di Tolone contro i rivoluzionari francesi e tutte quelle combattute dalla cavalleria guidata da Murat. Napoleone la giudicava la migliore del mondo e chiamava i suoi membri “diavoli bianchi”, fino alle mirabili gesta delle battaglie di Capua, del Volturno e le eroiche resistenze di Gaeta, Messina e Civitella del Tronto. Agli avvenimenti del 1860-1861, vedranno la fine del Regno, le forze armate duosiciliane si presentarono forti di 100.000 uomini. Come è noto, non bastarono a salvare il Regno né il ricordo di un esercito e di una marina un tempo prestigiosi.
Del modo di atteggiarsi dei napolitani e siciliani durante
l’esecuzione dell’Inno del Re del Regno delle Due Sicilie.
Come altri frammenti preziosi dell'identità Napolitana, l'Inno di Paisiello era quasi introvabile e soprattutto mancava una versione completa del testo; infatti dopo l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna le partiture dell’inno furono quasi tutte distrutte dagli invasori piemontesi. Nel corso degli anni l'Inno di Paisiello ha addirittura subito la disinformazione storica, mettendone in discussione la paternità, scambiando Paisiello con Cimarosa.
“L’ Inno del Re”, di Paisiello fu ritrovato in un fondo di spartiti appartenuti alla famiglia del Principe Folco Ruffo di Palazzolo (1801-1848), che fu ambasciatore delle Due Sicilie a Torino ed in Svizzera.
Quando si eseguiva l’inno di Paisiello, i napolitani ed i siciliani differenziandosi da qualsiasi altro popolo del mondo, per celebrarlo, poggiavano sul petto la mano destra chiusa a pugno e girando il braccio in maniera tale che solo il pollice veniva a contatto col cuore.
Del passato dovremmo riprendere i fuochi, e non le sue ceneri.
- Jean Juarès -
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